10/16/2004

I tre porcellini e il cannibalismo rituale

Finalmente ho trovato la versione tradotta dall’originale de “I tre porcellini” (edita da Mondadori). Chissà perché ci ricordiamo tutti quella versione addolcita nella quale i primi due fratelli si rifugiano nella casa di mattoni del terzo... e vissero tutti felici e contenti. Sbagliato, sbagliatissimo, le favole dovevano ammonire e due sempliciotti non potevano certo scamparla. Nella versione originale infatti i primi due incauti porcellini vengono sbranati ferocemente dal lupo e per loro non vi sarà rimedio o salvezza finale. Solo una poltiglia di carne succulenta nel ventre della belva. Il messaggio ai bambini di un tempo era chiaro: se sbagli o fai le cose con leggerezza crepi.
Ma torniamo al terzo porcellino... il lupo soffia, soffia ma ci vorrebbe ben altro contro una dimora in solidi mattoni. Tenta allora di fregarlo con le armi della persuasione: “Sai c’è un campo di mele aldilà del recinto...”. Ma il porco è furbo ed esce di casa solo all’alba, mentre il lupo dorme. La belva perde così le staffe e tenta di introdursi nella casa dal camino, il porco gli dà il benvenuto con una pentolaccia d’acqua bollente facendolo perire in atroci contorcimenti e stridore di denti. Finisce così la versione addolcita. Nella versione originale avviene qualcosa di tragico e ancestrale: il porco divora il lupo! Nel suo stomaco giacevano ancora i resti dei suoi fratelli... siamo al limite tra il rituale funebre, il cannibalismo, il sacro dirompente. Divorando il lupo, il porco vendica la morte atroce dei suoi fratelli e nello stesso tempo ne ingurgita i resti come a volerne inglobare le virtù.
Penso sempre a quel calderone bollente, le urla della belva, le sue zanne scoperte per le contrazioni dolorose, il vapore, la puzza di carne bollita, di pelo bagnato, gli schizzi dell’acqua, i movimenti sincopati di un corpo privo di controllo, l’orrore, l’orrore, l’orrore... e il porco nell’angolo della stanza con le mani rivolte al cielo in preda alla trance che ripete formule magiche nella lingua degli antichi. Posseduto dallo spirito di un suo avo, infilza con un gancio il corpo sfinito ma ancora in vita del lupo. Lo solleva in alto e con il pugnale rituale gli strappa il cuore, lo divora e urla in modo spaventoso la vendetta che spande per tutta la landa desolata. AaaaaaaaaaaaaaaaAAA!!!!! Uno stormo di uccelli si libra in volo; sbrana il resto del lupo assieme al vino sacro. “E’ finita”.

Disse, diè indietro, e rovescion cascò.
Giacea nell'antro con la gran cervice
Ripiegata su l'omero: e dal sonno,
Che tutti doma, vinto, e dalla molta
Crapula oppresso, per la gola fuori
Il negro vino e della carne i pezzi,
Con sonanti mandava orrendi rutti.**


** L’Odissea di Omero, libro nono,Trad. di Ippolito Pindemonte

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